Il Cimone di Santa Colomba

Una montagna tra le montagne.

Sul versante teramano si erge un monolite, non arriva a quota 2000 e intorno ha solo montagne più alte e ambienti isolati. Il Cimone di Santa Colomba, dal fascino unico e una delle ultime cime "quasi" incontaminate.


L’idea di salire questo ambito “1.900” girava da un pò di tempo ma forza di successivi rinvii siamo arrivati a dopo che è caduta la prima neve, evento che in linea di principio avrebbe reso ancor più attraente tentare un approccio in un ambiente che, stanti le descrizioni che si trovano sul web, è già di per se impegnativo anche nella bella stagione. Siamo quindi partiti per andare e tentare avendo studiato tutti i possibili approcci, con la sola riserva di decidere come agire una volta sul posto in base alla visione diretta dello stato di effettivo innevamento. Arrivati sulla stradina sterrata che da San Pietro sale fino al bel contesto ambientale di Piano del Fiume iniziano le consultazioni: il ripido piano inclinato in cui consiste il versante nord della montagna (via diretta alla cima del Costone dall’Eremo di Santa Colomba) appare libero da neve sino al limitare superiore del bosco e quindi percorribile in salita come pure in discesa; da ciò ricaviamo l’idea che sia fattibile un giro con salita attraverso il Fosso Malepasso ed approccio alla vetta dallo sperone roccioso rivolto a sud attraverso alcuni passaggi “chiave” di cui abbiamo letto: prima un canale coricato che conduce dal fondo del vallone alla sella proprio di fronte all’imponente monolito verticale che a sua volta si aggira e risale su per un’incisione esile ma ben individuabile sul fianco ovest. Insomma con un fondo giusto e verosimile assenza di neve sulle facciate esposte a meridione dovrebbe essere fattibile, e per ogni evenienza i ramponi sono negli zaini. Lasciata l’auto accanto all’area pic-nic si prende il sentiero per l’Eremo di Santa Colomba (cartello indicatore) che subito guada il corso d’acqua ben alimentato dalle prime nevi che già si stanno fondendo con il rialzo in atto delle temperature; il sentiero inizia a salire deciso nel bosco fitto con una serie di tornanti ravvicinati e ad ogni cambio di direzione si guadagnano metri su metri di quota. Si sale senza soluzione di continuità su una mulattiera molto ben tenuta, si lasciano sulla sinistra due sentieri che conducono verso la zona della cascata di Vena Roscia (che visiteremo al ritorno) e si continua a progredire fino a che compare la piccola chiesina: una costruzione recente .. non proprio quel che si immagina possa essere un eremo di tanta, antica santità ed oggetto di così diffusa devozione. Lasciato l’eremo si fanno subito un paio di svolte in salita e si raggiunge una radura dov’è una croce e ci si ferma un momento per ammirare il panorama che risulta finalmente più aperto; si nota anche la parte alta del lungo, sinuoso ed irto piano inclinato (per l’appunto chiamato il “Lucertolone” dagli abitanti di Isola del Gran Sasso), che dalla zona in cui siamo raggiunge per via diretta la cima; percorso che avevamo immaginato di fare come via veloce per il ritorno. Dopo breve sosta si riprende il sentiero che rientra nella faggeta ed in piano ci si porta fino ad entrare nel mezzo del fosso Malepasso che appare subito essere un ambiente isolato ed aspro, nonché molto in salita!! Si prosegue per un pò su ripido sentierino che con svolte ravvicinate costeggia l’alveo del corso d’acqua caratterizzato da una successione di salti dove si alimentano piccole cascatelle; in breve si guadagna quota sino al punto in cui il sentiero gira a destra ed attraversando il fosso si porta sulla sua sinistra orografica per poi continuare a svilupparsi sui ripidi prati del lato opposto a quello dove ci troviamo. Seguendo alcune indicazioni lette sul web, invece di seguire la traccia, abbiamo tirato diritto puntando verso la parte in alto del vallone, spostandoci progressivamente verso la bastionata di rocce verticali che salgono al Cimone alla ricerca di un fondo migliore con meno neve che si è rivelata sempre più cedevole essendo solo “appoggiata” su un manto di erba fitta e particolarmente scivolosa. Sempre da alcune recensioni sul web avevamo letto di un intaglio obliquo ben percorribile attorno per mezzo del quale uscire dal vallone e portarsi sulla sella alla base del monolito su cui è la vetta: nell’idea di abbreviare il percorso abbiamo invece deciso di approcciare una salita alla sella più diretta attraverso un canale che all’apparenza appariva non problematico in quanto abbastanza appoggiato. Poco dopo imboccato il canale è però stato chiaro che la scelta non è stata azzeccata: la risalita si è infatti dimostrata a tratti problematica per via della forte pendenza, in brevi tratti verticale, e del fondo coperto di neve cedevole e con ben pochi appigli; comunque, prestando molta attenzione e non senza qualche patema ne siamo usciti fuori e ci siamo trovati proprio sulla sella di fronte al grande roccione in cui consiste la vetta del Cimone: si è così presentata al nostro sguardo l’avvincente formazione verticale, un pinnacolo imponente ed incastonato in un ambiente grandioso reso ancor più solenne dalla distesa della prima neve della stagione. Se da un lato grande è stata la soddisfazione di essere arrivati fin sotto la vetta, dall’altro è apparso subito chiaro che la salita alla cima era seriamente ipotecata: i punti chiave che aggirano sul versante occidentale le rocce sommitali e raggiungono la sommità del Cimone per passaggi esili e sospesi erano infatti coperti da neve, molto poca invero, ma sicuramente posticcia e cedevole come quanto già sperimentato nella parte alta del vallone, ed anche i ramponi si rivelerebbero ben poco utili. Dopo una breve ispezione e valutati i rischi concreti di avviarci su un terreno ostile decidiamo serenamente e saggiamente per la rinuncia, appagati comunque dal percorso fatto e dagli ambienti di grande wilderness attraversati per arrivare sin lassù; rimaniamo per un pò abbagliati dal sole che si riflette sul manto bianchissimo e dai panorami verso l’alto dove corre la cresta tra il Monte Prena ed il Brancastello: una prospettiva particolarmente interessante per noi che queste montagne le abbiamo sempre viste e salite da Campo Imperatore. Per il ritorno andiamo a cercare il passaggio di cui avevamo letto ed infatti lo troviamo poco oltre il punto in cui siamo usciti fuori dal canale fatto in salita: si tratta di una traccia che segue una cengia in pendenza moderata con che abbiamo percorso con senso di sicurezza pur con la presenza della solita neve instabile; una volta guadagnato il fondo del vallone non è rimasto che scendere costeggiando il fosso fino ad andare ad intercettare il sentiero fatto all’andata. Avendo un pò di tempo conviene sicuramente abbinare una visita alla Vena Roscia, un grande anfiteatro dove converge l’acqua del Ruzzo che si origina più in alto, nella valle di Fossacieca, e qui si dirama tra salti verticali originando diverse cascate in un ambiente molto scenografico. Il sito si raggiunge dapprima percorrendo il sentiero che si stacca a metà strada tra Piano del Fiume e l’Eremo di Santa Colomba (in realtà ce ne sono due che convergono) e poi lungo lo scenografico tracciato ricavato nella roccia che a mezzacosta conduce fin dentro l’anfiteatro di Vena Roscia con notevoli visuali ravvicinate sulle cascate. Alla fine, anche se è mancata la salita sulla vetta del Cimone, ne è uscita un’escursione bella ed avventurosa in ambienti solitari e selvaggi in un versante del Gran Sasso che ogni volta regala escursioni sorprendenti … la cima poi l’agguanteremo un’altra volta!!